Oggi vi voglio raccontare una Valle del Bove come fino a ora non l’avete mai conosciuta. Questa antica caldera che disegna tutta la facciata est dell’Etna e che ne rappresenta uno dei volti più importanti in termini di storia, paesaggio ed emozioni.
Fino a qui ve ne ho parlato descrivendola dall’alto: 8 km di lunghezza per 4 di larghezza caratterizzati da un deserto di lava dall’aspetto morbido e sinuoso che man mano si sovrappone e fluttua tra colate antiche, crateri spenti e dagale, come dita di una mano gigante che si immergono nella sabbia.
Noi in questi giorni siamo andati a vederla da vicino, e abbiamo scoperto la potenza e il fascino del dettaglio che pareggia quella della vista d’insieme e ne completa la conoscenza.
Percorsi diversi come diverse sono le facce di questa valle immensa, a seconda dal lato in cui la si approccia e da dove la si attraversa.
Questa volta, partendo da nord, abbiamo scoperto quanta fatica si possa fare pur non raggiungendo i 300 metri totali di dislivello in salita.
Un su e giù squisitamente armonico di pietre, sabbia, crocroc sotto gli scarponi generato dal materiale più giovane depositato durante le eruzioni di febbraio e marzo, che fa l’occhiolino alle ginocchia e al fiato anche dei camminatori più spavaldi.
Qui perdere l’orientamento è facilissimo. Nonostante i crateri sommitali che fumano tranquilli a ovest e il mare che fa capolino a est, l’interno della valle è talmente vasto e complicato da richiedere tutta l’attenzione e l’esperienza accumulata per scegliere la strada meno faticosa e meno pericolosa da seguire.
La sensazione è quella di camminare su un pianeta alieno, deserto, completamente inesplorato e arido. Fino a che, raggiunto l’ennesimo picco, si scorge dall’alto la dagala del Picchio. Una macchia di verde salvata da tutto quel grigio-nero che la avvolge (# letteralmente dagh-Allah in arabo, “salvata da Dio”) che ti fa capire cosa possano provare i beduini nel deserto alla vista delle prime palme che anticipano un’oasi.
E quando finalmente la si raggiunge l’umidità dell’aria, le ginestre, i muschi, il boschetto di pioppi tremuli antistante il piccolo rifugio del Picchio e la stessa terra sotto i piedi rappresentano un cambiamento così repentino da lasciare a bocca aperta.
Il rifugio è un piccolo casotto in pietra lavica fornito di caminetto e un pozzo d’acqua all’esterno, perfetto per una sosta notturna o un pranzo al sacco.
Nel nostro caso la giusta pausa per riprendere fiato e ripartire seguendo il sentiero, da questo momento ben segnalato, che conduce nel cuore della Val Calanna, seguendo tutta la parte bassa della colata del 1991-1993 fino al punto in cui si apre sull’imponente salto della Giumenta. Maestoso.
I piedi saldi sul sentiero e gli occhi che planano, dal basso verso l’alto, seguendo le curve di quella che è stata una delle più terrificanti colate di lava del ventesimo secolo, arrivando fino al confine alberato che delimita la valle.
Quante volte l’abbiamo visto dall’alto questo panorama? A quanti turisti ne abbiamo spiegato l’essenza e la storia?
E ora, come bimbi, facciamo a gara a chi indovina per primo qual è l’esatto punto dell’affaccio da dove ogni giorno spiamo l’immensità di questo luogo così magico.
Il silenzio è padrone, lassù.
E da lì, pian piano, si prosegue sul sentiero che scende fino ad arrivare al fronte lavico di questa impressionante colata di quasi 30 anni fa, arrivata a lambire il centro abitato di Zafferana Etnea.
8 km di paesaggi unici e di emozioni nuove da custodire.
La prossima volta vi racconterò un altro giro, ancora diverso, che dall’alto ci porterà in basso. Dal panoramico alla conquista del particolare: il dettaglio che permette di comprendere la complessità del punto di vista generale.
Piccoli passi aiutano a raggiungere grandi obiettivi. È una consapevolezza che diventa una sorta di dipendenza, specialmente dopo un periodo in cui è facile perdersi in una visione generale confusa e incerta, quando aggrapparsi al piccolo obiettivo diventa tanto importante quanto ritrovare la motivazione.
E come tutte le belle dipendenze che si rispettino, il modo per star meglio è continuare a esplorare, a conoscere, a volerne ancora. Per poi condividere il tutto con chi ha voglia di ascoltare e di farsi rapire da questa passione. Che poi è un po’ anche la caratteristica che rende così speciale il nostro lavoro.
Insomma, il mio paragone tra mamma Etna e la vita quotidiana continua, e si arricchisce man mano di particolari significativi. Non vedo l’ora di raccontarvene altri.