La sveglia suona all’alba, dopo una notte carica di elettricità per la giornata che sarebbe cominciata di lì a poco.
La nordica in effetti non ha dormito molto bene, tutta presa com’era dal ripassare ogni passaggio, la lista di cose da portare, il fatto e il da fare.
L’autoctono siculo cercava di sdrammatizzare, regalando leggerezza e la calma che lo contraddistingue… ma sotto sotto la seguiva in tutti i suoi deliri notturni, dando qui e là spunti e idee da segnare last minute sul preziosissimo taccuino.
La biondina dormiva tranquilla, in attesa di passare la domenica dal nonno.
Al cantar del gallo tutti in piedi e il tempo, fino a lì così immobile, decide che è ora di iniziare a correre.
Superati tutti gli ostacoli, anche le 18 sveglie messe per non scordare di passare a ritirare il pane, in macchina si respira già aria di festa.
Il ritrovo è allo storico Rifugio Citelli, comodamente adagiato in uno spiazzo immerso in un bosco di betulle e ginestre dell’Etna.
Luca, la nostra guida vulcanologica, raduna il gruppo e finalmente si parte.
L’Etna ci sorride sbuffando dal cratere di sud-est poi la cima si nasconde non appena cominciamo ad addentrarci nel sentiero 723, all’apparenza un comune sentiero di montagna non fosse per quella terra così nera che scricchiola sotto i nostri piedi, che si snoda in un saliscendi continuo tra betulle, ginestre e cuscini della suocera.
Il gruppo è un misto di giovanissimi e meno giovani, scarpe da trekking, bastoni e cappellini.
Apre la nordica, al centro il siculo, in coda la guida.
Camminando scopriamo di essere osservati dagli “occhi delle betulle”, impariamo a non toccare quei morbidissimi cuscini in realtà pieni di spine, scopriamo angoli inaspettati che rivelano la presenza dell’uomo in tempi antichi, beviamo un goccio d’acqua e scattiamo qualche foto.
E poi la prima vera sosta: ci aspetta la grotta del Serracozzo, armonioso regalo di una colata recente, con volte e punti luce che danno l’impressione di trovarsi al cospetto di una chiesa sommersa.
La temperatura ci trattiene lì, godendo del fresco, mentre assorbiamo le spiegazioni della guida e immaginiamo come doveva essere, nemmeno 50 anni fa, quel fiume di fuoco che ha saputo modellare con tanta grazia questa meraviglia.
Ma è tempo di ripartire.
Ma è tempo di ripartire.
Ci aspetta la parte più faticosa, dice Luca.
“Sì, ma quanto manca?”
Chiede qualcuno.
“Siamo a un terzo del percorso, ma non vi preoccupate, ancora un po’ di fatica poi è tutta discesa!”
La nordica e il siculo nascondono un sorriso. Sanno benissimo che, anche se le parole del montanaro non sono proprio veritiere, quello che verrà da lì a poco è sufficiente a far dimenticare tutto il resto. Zaino in spalla e andiamo!
Il sentiero si inerpica severo, le soste diventano più frequenti e la vegetazione si abbassa, salutando gli alberi per far spazio a cespugli e arbusti.
La terra vulcanica si riprende il posto da protagonista fino a che, alla fine, lascia il palcoscenico a lei, la maestosa caldera della Valle del Bove.
Il silenzio è sovrano, discretamente interrotto da qualche esclamazione di stupore e dal ritmo del nostro respiro, che piano piano riprende il suo moto regolare.
Qui tutto è scuro. Apparentemente tutto è immobile, come in un deserto. Ma incredibilmente, e chi ama i deserti sa benissimo cosa intendo, tutto è al contempo movimento, vita.
Le striature scure delle diverse colate, i crateri che lottano per non esserne sommersi, lo scheletro dell’antico edificio vulcanico che si rivela, timido, e si lascia comprendere.
E lassù il sud-est che continua a fumare dietro le nuvole nere.
La luce oggi è incredibile. Lo sguardo si perde, danza, accarezza dolcemente ogni curva, afferra una linea e la segue fino in fondo, là dove l’Etna lascia il passo al mare.
Le spiegazioni di Luca ci aiutano a comprendere cosa i nostri occhi stanno frugando. Ci fanno sentire più in armonia col paesaggio, con mamma Etna stessa, quasi che la consapevolezza di capirne meglio l’anima e gli umori ci avvicini ulteriormente a lei, alla nostra terra.
È magia, allo stato puro. Emozione coccolata da un vento fresco che muove sapientemente le corde dell’anima.
Ma non è finita. Lo spettacolo continua lungo tutto il costone che ci porterà fino all’inizio del canale sabbioso dove potremo finalmente scivolare verso quello che a questo punto è diventato il nostro obiettivo preponderante: la salsiccia e il vinello fresco del contadino!
Il prezzo da pagare è un ultimo mezzo chilometro che si arrampica tra rocce, coccinelle e sabbia, accarezzando il fianco della valle fino all’imbocco del canalone.
Da qui comincia una discesa spensierata che emula i movimenti degli sciatori. Si va giù di corsa, o quasi, incuranti delle scarpe che si riempiono di sabbia e sassi, ridendo come bambini, fino a che la strada piega a destra per ricongiungersi al bosco: ecco l’ultima parte dell’anello.
Qualcuno grida soddisfatto per aver individuato il punto esatto dove il sentiero si ricongiunge. Qualcun altro maschera la stanchezza con il sorriso orgoglioso di chi ce l’ha fatta. Altri ancora hanno fame e sete, e scacciano la malinconia che ti prende quando capisci che un’avventura sta arrivando al suo epilogo con l’immagine del pranzo in arrivo.
E allora pranzo sia!
Siamo stanchi, soddisfatti, ebbri di gioia (e a questo punto, anche un po’ di di vino), e anche questa parte della giornata non può essere che un successo.
Il gruppo si è compattato. Si ride, ci si prende in giro, si ripercorrono le scene più buffe e si confessano i pensieri non detti di tutta l’esperienza.
Poi, dopo il dolce, la brace si spegne, la tavola si sparecchia e quello che resta è la promessa di una prossima volta.
“Magari non subito, ma presto!”
È così che si vince tutto.
Secondo esperimento di Evento in tour Etna: riuscito!
A noi non resta che dirvi grazie.
E a presto, ci potete scommettere!
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